C’era una volta il lupo. E, per fortuna, c’è ancora.

Un sabato mattina, ore 11:35. Il sole accarezza i prati del SIC, le foglie tremano leggere, e nessuno – davvero nessuno – si aspetterebbe di vederlo arrivare.

Eppure lui c’è. Cammina lento, sicuro, nel cuore del nostro Sito di Interesse Comunitario. Non è un’ombra, non è un racconto da camino: è un lupo adulto, in carne, ossa e pelo folto, che attraversa la scena con la naturalezza di chi conosce da sempre ogni svolta del sentiero.

Ma questa non è una favola. È una storia vera, e comincia un mese prima, con una pattuglia di studenti dell’Istituto Gonzaga e un’escursione in mezzo al verde. Qualcosa ci colpisce: lungo il percorso, troviamo feci fresche di lupo. Un segno eloquente, una traccia di passaggio che ci invita a saperne di più. Così, Cesare Salandini, fotografo naturalista e membro attivissimo del nostro circolo, piazza una fototrappola in quel punto preciso.

Poi, aspettiamo. Pazienti, silenziosi, fiduciosi. E la natura, quando la rispetti, si rivela.

Mercoledì scorso, torniamo a controllare. La memoria digitale della fototrappola è piena. Scorriamo i video, e lì, come in un cortometraggio inatteso, appare lui. Due volte. Sabato 5 aprile, poi lunedì 7, alle 18. Cammina, fiuta, osserva. Esiste.

E mentre ci emozioniamo a ogni fotogramma, ci torna in mente un altro progetto, sempre firmato da Cesare: il monitoraggio della cucciolata di Castellaro Lagusello, un’esperienza raccontata in una conferenza molto partecipata a Monzambano il 27 marzo scorso. È possibile che il nostro ospite sia proprio uno di quei piccoli, ormai cresciuto. È tornato. O forse, non se n’è mai andato.

Il lupo, predatore apicale, non è solo un simbolo, ma un indicatore ecologico straordinario. La sua presenza prolungata, nel tempo e nello spazio, è un segnale di salute ambientale. È la prova che il nostro SIC funziona: custodisce, nutre, ospita. E continua a sorprenderci.

Presto vi parleremo più a fondo del progetto di Cesare, un lavoro che va oltre la fotografia: è una narrazione visiva di come uomini e natura possano, e debbano, convivere.

Ma ora parliamo chiaro: il lupo fa paura. O meglio, la sua immagine.

L’idea del lupo come bestia feroce è vecchia quanto Cappuccetto Rosso. Ma la realtà, quella scientifica, dice altro.

Il lupo non è pericoloso per l’uomo. In Italia non si registrano attacchi a persone in tempi recenti. Il lupo è schivo, diffidente, evita l’uomo in ogni occasione possibile. Non è un assassino di pascoli per sport: è un carnivoro regolatore, che seleziona le prede deboli, malate, mantenendo in equilibrio le popolazioni di ungulati.

Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in Italia vivono oggi tra i 3.000 e i 3.300 lupi, distribuiti lungo tutto l’Appennino e parte delle Alpi. È una specie protetta, che non caccia per vendetta, non agisce per istinto omicida: sopravvive. Come ha sempre fatto.

Il vero pericolo, semmai, è l’ignoranza. Quella che lo dipinge come minaccia, quella che alimenta paure ataviche, quella che ostacola la convivenza.

Noi, da parte nostra, scegliamo la conoscenza, la meraviglia, la pazienza. E raccontiamo storie vere, come questa. Perché c’era una volta un lupo, sì. Ma stavolta, nella storia, non è il cattivo.

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