Lo spreco alimentare… in sintesi

La preparazione e l’esposizione dei contenuti della conferenza da noi recentemente svolta presso l’Istituto Francesco Gonzaga ha palesato quanto sottovalutato e poco trattato sia l’impatto ambientale, economico e sociale dello spreco di cibo. Abbiamo perciò deciso di proporre una sintesi dei dati ed evidenze principali emersi venerdì.

  • Lo spreco alimentare (food waste) è il fenomeno della perdita di cibo ancora commestibile che si ha lungo tutta la catena di produzione e consumo.
  • La popolazione mondiale ha superato i 7,5 miliardi e per nutrirla il mondo produce ogni anno 4 miliardi di tonnellate di cibo.
  • Il 30-50% del cibo prodotto non raggiunge mai lo stomaco umano.
  • Nei paesi in via di sviluppo la maggior parte del cibo viene sprecato durante le fasi intermedie di produzione o per problemi di conservazione. Mentre in media una persona che vive in Europa o in America del Nord spreca intorno ai 95–115 kg all’anno, l’Africa subsahariana viaggia intorno ai 6–11 kg annui.
  • I principali produttori di cibo al mondo sono Cina, India, Stati Uniti e Brasile. Gli alimenti di base più comuni sono il mais, il riso e il grano.
  • Il Nord America e l’Australia/Nuova Zelanda sono i paesi che sprecano più cibo, insieme a Europa/Russia e Asia orientale.
  • La maggior parte del cibo viene perso nelle nazioni sviluppate a causa degli standard di qualità a livello di vendita al dettaglio e consumo, mentre le nazioni in via di sviluppo sprecano cibo a causa di raccolti inefficienti, infrastrutture scadenti, trasporti inadeguati e condizioni agricole poco efficaci.
  • Se si potesse salvare anche solo 1/4 del cibo perso o sprecato a livello globale, basterebbe a sfamare gli 870 milioni di persone attualmente denutrite.
  • Nei campi si butta 1/5 della frutta e verdura solo perché imperfetta ma comunque buona: il 21% in Europa. In Italia si calcolano 36 chili di cibo a testa perduti ogni anno lungo la catena di produzione, distribuzione e consumo, che costano complessivamente circa l’1% del Pil: tra i 12 e il 16 miliardi di euro.
  • Il 50% delle terre emerse su questo pianeta (Antartide esclusa) è stato alterato a causa dei metodi agricoli per produrre cibo.

La perdita di cibo comporta un grande spreco di risorse, tra cui acqua, terra, energia, lavoro e capitale. Essa produce inutilmente emissioni di gas serra, contribuendo al riscaldamento globale e al cambiamento climatico.

  • In quanto ad emissioni di anidride carbonica (circa 3,3 MLD di tonnellate) si calcola che se lo spreco alimentare fosse uno stato, dopo Stati Uniti e Cina, sarebbe al terzo posto tra i paesi che ne emettono di più.
  • Entro il 2075 la popolazione globale potrebbe raggiungere circa 9,5 miliardi di persone: il mondo dovrebbe produrre il 69% in più di calorie alimentari nel 2050 rispetto al 2006.
  • L’agricoltura contribuisce a un quarto dei gas serra globali, utilizza il 37% della massa continentale (esclusa l’Antartide) e rappresenta l’uso del 70% di tutta l’acqua dolce del mondo.
  • Una ricerca dell’Università di Bologna ha confrontato la percezione dello spreco alimentare nelle famiglie italiane con la rilevazione del cibo effettivamente buttato (27,5 kg all’anno a persona) dimostrando che lo spreco reale è oltre il doppio di quello percepito.

Dall’intervento della dott.ssa Barbara Armigliato, fra le altre cose, è emerso che…

  • La produzione di carne, soprattutto bovina, consuma una quantità enorme di risorse e produce emissioni di gas serra che rappresentano un multiplo di qualsiasi altro alimento.
  • La produzione di carne in genere converte le proteine vegetali in proteine animali in modo estremamente inefficiente ed ha quindi un impatto colossale in termini di territorio sottratto all’alimentazione umana o all’ambiente per essere coltivato a foraggio.
  • Una nuova frontiera tecnologica, che non sosteniamo o osteggiamo sulla base né di pregiudizi né di interessi economici ma che invitiamo a considerare scientificamente, è la cosiddetta “cultured meat” che, tradotto in italiano, corrisponde a «carne coltivata».
  • La carne coltivata, che qualcuno banalmente definisce “sintetica” e altri ancora, capziosamente, “carne Frankenstein”, è carne animale originata dalle cellule staminali, che vengono fatte riprodurre in bio-reattori.
  • Si tratta di una disciplina scientifica emergente che sfrutta principi già noti, alla base della biologia delle cellule staminali e dell’ingegneria dei tessuti coltivati in vitro.

Legambiente si occupa da sempre di ambientalismo scientifico e, sia venerdì davanti ai 400 studenti dell’Auditorium che in questo post, abbiamo cercato di fornire dati, tendenze e soluzioni obiettive, accurate e non condizionate da interessi economici di parte.

Ciascuno poi agirà sulla base delle proprie opinioni e ragionamenti… sperando che sia i ragazzi che ci ci legge oggi, da domani ci pensi due volte prima di buttare una mela con una piccola bolla o acquistare molto più di quanto sarà in grado di consumare.

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